Tempi Moderni, una insensatezza piena di senso
Nei racconti contenuti in Tempi Moderni di Cathy Sweeney (Il Saggiatore), si passa dalla realtà all’irrealtà senza accorgersene, uno switch folle e indolore che consente continue (e divertenti) cadute in altri mondi, senza troppi riguardi nei confronti di rituali, o regole, di stile. In fondo chi l’ha detto che l’irrealtà è più folle della realtà?
I racconti di Cathy Sweeney (fa l’insegnante, vive a Dublino e questo è il suo primo libro) si intrecciano con le favole: ci sono personaggi che amano, tradiscono e che poi diventano blu, c’è un regista che a fine carriera gira i suoi film senza la telecamera, riuscendo con le sue emozionanti riprese a riconquistare la figlia. C’è una coppia che, consapevole del fatto che rimanere insieme per tutta la vita è un progetto oggettivamente folle, ogni settimana si dà (reciprocamente) le scosse elettriche, in modo da esprimere la rabbia e ritrovare gli stimoli. Tra i vari personaggi c’è una donna che regala una bambola gonfiabile al marito, e che userà anche lei, ma solo per lavarla, vestirla e dormirci accanto, e c’è un’altra donna che ha tante bocche, e poi un’altra che quando va al lavoro è solita portarsi il pene del marito nel porta pranzo. Poi ci sono i mattoni di un palazzo che si ammalano e il tg che ne parla ma poi tutti se ne dimenticano. Come si può credere, o addirittura amare, tutto questo?
Gli elementi di fantasia e di assurdo che irrompono ogni volta nelle scene dei racconti come uno strano sogno, costruiscono abilmente un patto felice con il lettore, perché nonostante l’irrealtà delle storie, i sentimenti mantengono solido il loro sapore di reale, e pagina dopo pagina è proprio il non senso delle cose ad apparirci vero e legittimo, a dispetto della nostra ostinata ricerca di normalità e ordine.
Quando una giornalista dell’irishtimes.com ha detto che il racconto della donna con tante bocche le rimandava alla mente un quadro di Picasso, Sweeney ha risposto: “That’s exactly correct. I love Picasso!” e poi “alcune mattine mi guardo allo specchio ed è così che mi sento”….“e non si tratta di dismorfismo corporeo o altro, si tratta solo di dover mettersi la faccia, andare a lavorare, salire in macchina, sai, solo la lista delle cose da fare. E la modernità, credo, ci fa sentire così. Quindi, la differenza tra come ti senti e come ti comporti, o come vedi il mondo e come si comporta il mondo, – la dissonanza può essere straordinaria “. Cathy Sweeney, ora ha 50 anni, racconta di aver trascorso gran parte della sua vita concentrandosi sull’adattamento, per cercare di essere una persona normale e dice che poi, “fortunatamente”, ha rinunciato a questo. In effetti, anche le vite dei personaggi di questi racconti hanno sempre delle derive inaspettate, illogiche, come morti improvvise, cambi di desideri, fallimenti laddove c’era ambizione, successi dove non si cercava nulla. La lingua di Cathy Sweeney è abilmente scarna, come quella di Carver, a volte cruda, come quella di Ottessa Moshfeg, deliziosamente ironica, come Bukowksy. I passaggi dal reale all’irreale sono raffinati, spesso usano simboli dall’essenza freudiana, e vanno colti, riflettuti, anche mentre si ride. Ma appunto, come non cogliere questa opportunità di entrare in un mondo dove la nostra follia è pienamente legittimata? Racconto dopo racconto, non si vede l’ora di fare quello switch, di cadere, lasciarsi alle spalle miti, tradizioni, razionalità, regole.
Questo articolo è stato pubblicata a firma di Valeria Cecilia su agrifoglio.ilfoglio.it.
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