
La persona ideale, come dovrebbe essere?
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Sheila Heti Nella seconda edizione del libro Come funzionano i romanzi (pubblicato da poco da Minimum Fax), James Wood, critico americano e firma del New Yorker, aggiunge la canadese Sheila Heti tra quegli scrittori che “hanno espresso la loro diffidenza, insoddisfazione, ostilità e stanchezza nei confronti delle convenzioni del romanzo”. In Italia Sellerio ha pubblicato due romanzi di Heti, Maternità (2019) e La persona ideale, come dovrebbe essere? (2013). Entrambi i libri hanno una struttura che è stata definita non solo ibrida ma persino indefinibile, un itinerario – tutt’altro che casuale e grezzo – costruito con appunti, ricordi, pagine di diario, sogni notturni, riflessioni filosofiche e anche (nel caso di Come dovrebbe essere la persona ideale ) di parti di pièce teatrali e scambi di mail.
Se Maternità ha come tema centrale il dubbio ossessivo della protagonista se fare o non fare figli, in La persona ideale, come dovrebbe essere? il tema centrale sembra mancare, o meglio sembra essere proprio la ricerca da parte della protagonista di un tema stesso a cui aggrapparsi, una terra ferma, piatta, su cui potersi sentire stabile e normale. In realtà, anche in questo libro, come in Maternità, il tema è il dubbio, riversato intorno a quella che la protagonista chiama precisamente “anima”, perché proprio lì sente di avere un’importante difettosità (dice: “c’era qualcosa di sbagliato dentro di me, qualcosa di brutto”) tanto da farle scrivere sempre, per errore, sould (venduta) al posto di soul e farla tormentare dalla domanda: come dovrei comportarmi, quali scelte dovrei fare per essere la persona giusta, ideale? La protagonista, che si chiama Sheila come l’autrice, cerca le risposte negli altri: in giovane età si sposa credendo, grazie al matrimonio, di diventare finalmente una persona “coerente, saggia, innamorata e sincera”. Ma sin dal giuramento l’unione si rivela un’esperienza di distanza da sé (”una voce in playback”) e di sospensione delle cose che vuole veramente fare (più di tutto riuscire a scrivere una commedia teatrale che gli è stata commissionata). Quando divorzia Sheila pensa che quello è il giorno più felice della sua vita, ma dopo continua a inciampare e si sente scaraventata “al centro dell’indifferenza del mondo”. Sheila cerca di scrivere la sua commedia, ma scrivere la fa soffrire, così preferisce andare a lavorare come parrucchiera in un centro estetico di lusso dove si sente soddisfatta e serena. Sheila vorrebbe anche dipingere, ma si limita a guardare i dipinti dei suoi amici artisti e ad aiutarli a organizzare il concorso per il quadro più brutto che sia mai stato fatto. Con gli uomini è alla ricerca di conferme, ma si ingabbia in rapporti svilenti e passivi e tradisce profondamente la sua migliore amica, la pittrice Margaux, l’unica persona con la quale si sente al sicuro, rubandole pezzi anima (la registra e trascrive le sue parole).
Dove arriva Sheila? E la narrazione? Entrambe sembrano portare da nessuna parte se non nella realtà delle cose, che non consiste in quello che accade o in quello che facciamo, ma in come, soggettivamente, percepiamo tutto questo. Sarà per questo, o per quella che Wood nel suo saggio sul romanzo chiama fame di realismo, che una realtà scoscesa, instabile e piena di dubbi, e una narrazione fatta di appunti, racconti, scambi di mail, dialoghi teatrali, risultano perfettamente coerenti nell’ incoerenza, comode nel continuo cambiare, coese nel ripetuto sfilacciarsi: tutto ciò non ha forse un forte sapore di vero? Non assomiglia fino in fondo a quella cosa complessa e poco uniforme che è la nostra contemporaneità?
Alla fine questo libro di Heti infonde la voglia di lasciarsi andare, di abbassare la tensione della ricerca di senso, ma senza pessimismi, piuttosto abbracciando la leggerezza: dopo aver finalmente concluso il concorso per il quadro più brutto, tutta la cricca di amici si ritrova giocare a squash, divertendosi, imprecando, ridendo, sudando, il tutto senza conoscere le e regole: “..Mi sa che stanno solo colpendo la palla a casaccio”. “Infatti era così”.
Questo articolo è stato pubblicata a firma di Valeria Cecilia su agrifoglio.ilfoglio.it.
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