La Luna di Miele di Mrs. Smith, racconti di mistero e di donne
Nei libri di Shirley Jackson, la maestra della letteratura gotica americana, la realtà fa sempre una rapidissima capovolta, e ci si ritrova in un batter d’occhio a testa in giù, a vedere le cose più assurde scorrere nitide e pacate, mentre quelle normali e logiche appaiono minacciose, al punto da chiedersi non solo se la realtà che viviamo è quella che sembra, ma anche se la nostra vita (normale) può essere mai così banale. Questo cambio di visione, che sì, viene sempre imposto a chi legge, passa attraverso una scrittura moderna, dalla precisione tagliente, piena di ironia e luce, anche se di mezzo c’è la tragedia o l’orrore.
Nella raccolta di racconti La luna di miele di Mrs Smith (Adelphi 2020), che nasce da un lungo lavoro di selezione fatto dai figli dell’autrice decenni dopo la sua morte avvenuta a 48 anni nel ’65, si possono gustare molti aspetti della narrativa di Shirley Jackson, tra cui il mistero, il macabro e l’assurdo. Così ci si imbatte in conversazioni rispettose, logiche e intelligenti fatte con il diavolo in persona sullo sfondo di un college femminile (racconto Sala da Fumo), oppure, come nel racconto La Brava moglie, dove un marito, che sembra la vittima di raggiri da parte della moglie, si rivela lui stesso l’autore di un gioco psicologico di controllo e autolesionismo insieme, così che la casa da luogo sicuro diventa una assurda maledizione. O ancora, l’ironia e il caos dominano nel racconto Gli indiani vivono in tenda, tutto costruito su un ritmato scambio di lettere tra personaggi che non si conoscono, ma i cui destini sono legati tra loro da una stessa drammatica e divertente vicenda, quale la ricerca disperata di una casa.
Ma questa raccolta di racconti colpisce anche per il tratto innovativo di alcuni personaggi femminili che ribaltano, con disinvoltura, sensualità e senza alzare alcun polverone, gli stereotipi di genere. Nel racconto Non bacio gli sconosciuti, la fidanzata di un ragazzo in partenza per la guerra, invece di abbattersi per lui e di prepararsi a vivere nell’attesa del suo ritorno, all’arrivo della notizia della chiamata alle armi prende immediatamente le distanze e si rifiuta di partecipare alle cerimonie degli addii. In effetti, che senso avrebbe prendersi quella fetta di dolore, da smaltire dopo nella totale solitudine? Anche perché la ragazza è consapevole che se anche lui dovesse tornare (vivo) niente sarebbe mai come prima, dice: “se mai tornerai sarai sempre un ex soldato, avrai un sacco di ricordi orribili e sarai diverso” e ancora “tu vuoi soltanto darmi una pacca sulla spalla e dirmi dai è soltanto un anno ma io non te lo permetterò, non starò neanche male, sarò semplicemente diversa” e quando alla fine lui, incredulo, fa per abbracciarla lei si sottrae: “non bacio gli sconosciuti, ormai dovresti saperlo”. La donna è semplicemente crudele? Sì, magari lo è: senza dubbio è centrata solo sulle conseguenze che gli eventi avranno su di lei, e in questo senso, diciamolo, è egocentrica ed egoista, ma se si pensa alla “tradizione”, che ha voluto e continua a volere le donne pregne di sentimenti di abnegazione e di “crocerossinerismo” verso gli uomini (padri, fratelli e mariti), tutto questo non sa di estremamente coraggioso, disinibito e nuovo?
Anche nel racconto Il sole torrido delle bermuda la tradizione sembra messa ko. Qui una ragazza è l’amante di un pittore sposato con una donna che lavora nel campus universitario dove la ragazza si sta per laureare. I tre sanno tutti l’uno degli altri ma al centro, affossato e punto debole, c’è lui, schiacciato dalle pressioni della moglie e torturato dalle mancate rassicurazioni della giovane amante, la quale, se mentre prende il sole a gambe nude in uno dei prati del college sogna di sposarsi (“le ragazze come me non sono al sicuro da sole”) in realtà vuole solo essere lasciata libera di fare quello che vuole: è allegra, desiderante e sfuggente verso l’uomo (avevo bisogno di te le dice lui in crisi per il quadro che non riesce a finire) ma la ragazza se ne va, e quando sente lui chiudere la porta pensa: chi se ne importa, la primavera prossima potrei essere a Parigi”.
Una nota a parte merita il racconto che dà il titolo alla raccolta, La Luna di miele di Mrs Smith, che qui si ha il privilegio di poter leggere in due versioni, scritte a distanza di molti anni, che contengono la stessa storia ma diametralmente opposta. In entrambe i racconti il matrimonio coincide con la progettazione di eventi di orrore e morte, ma se nella prima versione la protagonista femminile è un personaggio inconsapevole, e quindi vittima di un raggiro, nella seconda versione, se nei fatti nulla cambia, è la donna che manovra il tutto, anche la propria morte, mettendo l’uomo a suo servizio. Pur non volendo, quando si legge ci si fa quella (insidiosa) domanda su quale legame ci sia tra le opere e chi le scrive. Tutta questa libertà, consapevolezza, la capacità di lasciarsi le porte chiuse alle spalle e dire e chi se ne importa, questa forza d’animo densa di femminilità, sensualità, irrorata anche dalla luce dell’ironia, che rapporto ha con la voce dell’autrice? Sappiamo che Shirley Jackson ha utilizzato la scrittura come risposta alle sue ferite, in particolare quelle legate al rapporto con la madre e poi del suo matrimonio. E sappiamo anche che, come scrivono i suoi figli nella prefazione a questo libro, considerava la scrittura un mestiere a tutti gli effetti: “la sentivamo battere sui tasti fino a notte fonda”.
Questo articolo è stato pubblicata a firma di Valeria Cecilia su agrifoglio.ilfoglio.it.
Post a comment
Devi essere connesso per inviare un commento.