La vita degli animali: riflessione su nascita, morte e caos. Nell’universo come nella scrittura

La vita degli animali, il nuovo romanzo della scrittrice islandese Audur Ava Ólafsdóttir, pubblicato da Einaudi, tradotto da Stefano Rosatti, lega sapientemente diversi temi di attualità e piani narrativi paralleli.

Il libro parla delle forze che governano le nostre vite, come la casualità, analizza alcuni aspetti della specie umana, inquadrandola, con innesti saggistici in forma della riflessione personale, in una visione antispecista (non può non arrivare un richiamo a J. M. Coetzee, fin dal titolo), facendo anche un parallelo con il mondo vegetale, che da millenni preserva preziose strategie di conservazione.

Audur Ava Ólafsdóttir

l tema della nascita è al centro del libro, la protagonista è un’ostetrica, ma viene trattato in un legame speculare con il tema della morte, così come il tema della luce si integra con quello del buio, sia a livello metaforico che astrofisico. La protagonista Dyja ha ereditato il suo mestiere da sua zia Fìfa (mentre i suoi genitori hanno una agenzia funebre), a cui è stata sempre molto legata. Entrambe donne indipendenti, che vivono il mestiere di ostetriche come una missione, non hanno avuto figli e nella loro vita le relazioni sentimentali non sembrano avere nessun ruolo fondamentale.

La narrazione procede con lo stile della confessione, intimo, a volte del diario, e va avanti senza una trama forte e precisa. La protagonista racconta storie che le capitano al lavoro, con le colleghe, le amiche, ci sono i dialoghi con la sorella, che è una meteorologa che le annuncia l’arrivo di una tempesta senza precedenti. Ci sono i ricordi dei dialoghi con la zia, a cui è stata vicina anche negli ultimi giorni di vita.

Quando la zia muore, Dyjav va vivere nella sua casa e dopo alcuni anni ritrova uno scatolone dove la zia aveva lasciato i suoi scritti, elaborati forse nel corso di un decennio, riposti lì in un ordine non logico, non cronologico. Gli scritti ritrovati contengono riflessioni sulla vita, sull’esperienza del parto, sull’essere umano nella sua condizione di bambino e poi di adulto, studi cui la zia si dedicava sulla natura umana, gli animali, la fisica (c’è uno studio sulla presenza di luce all’interno dei buchi neri). Ci sono anche dei carteggi con delle sue amiche e poi una raccolta di interviste che la zia aveva fatto a sessanta ostetriche. Ecco che attraverso vari espedienti narrativi, sullo sfondo, o come incursioni, nel libro prendono vita tanti temi di grande attualità, quali l’ambiente, i cambiamenti climatici, le questioni di genere, la maternità, la tecnologia, lo specismo e anche la scrittura, il linguaggio, come forma di rappresentazione dell’essere umano. Ed ecco che i piani si stratificano: le carte della zia servono alla protagonista per comprendere anche sé stessa, così come le interviste che la zia aveva fatto alle sue colleghe erano un modo di scrivere di sé (proprio come Natalie Lèger nei suoi libri usa le indagini sull’artista Pippa Bacca o sull’attrice Barbara Loden per comprendere sé stessa e il suo rapporto con la madre). Dyjav scopre che la zia aveva anche tentato di pubblicare i suoi scritti, ma che erano stati rifiutati dagli editori perché, se pur interessanti, non avevano una struttura sufficientemente solida e chiara. Dyjav tenta di comprendere e trovare il filo tra le tante carte, di capire quale è l’inizio e la fine. Ma in un dialogo con la sorella alla fine dichiara di non esser riuscita nel suo intento, forse le opere, tutto il lavoro, è rimasto incompiuto ma soprattutto manca di organicità. Ma questo non è considerato un limite, perché quella mancanza di organicità, quella mescolanza di materiale eterogeneo, è coerente con la natura umana, con la vita, con le idee della zia “intono alla natura dell’essere umano e i suoi imprevedibili comportamenti, e coerente con la vita che al di là di tutto è dipendente dal capriccio di quella strana creatura che lei chiama casualità, alla luce di ciò è appunto logico che la scrittura manchi di sequenza logica. La coerenza sta nella incoerenza”. Ecco ancora una stratificazione: in fondo l’autrice sta parlando della sua opera.

Questo articolo è stato pubblicato a firma di Valeria Cecilia su: agrifoglio.ilfoglio.it