Feltrinelli e le recensioni dei lettori per Gamberale
Alessandro Trocino il 22 dicembre scrive un articolo su corriere.it (si può leggere anche qui) sulla nuova forma di promozione dei libri lanciata da Feltrinelli per “Il grembo paterno” di Chiara Gamberale: nel paginone pubblicitario (apparso anche su La Lettura del Corriere tra l’altro), invece dei solitistrilli, fascette, recensioni o commenti di autori e critici, ci sono i commenti dei lettori presi dai social: Giuseppe -Facebook, Cristina -Amazon, Lucia – Instagram etcc.
Alessandro Trocino lancia l’allarme, come a dire, siamo all’ultima spiaggia, perché se un tempo (ergo i bei tempi andati) gli autori addirittura litigavano con i critici per le loro bacchettate, oggi la criticanon esiste più, né quella negativa né quella positiva, “gli spazi si restringono, i linguaggi si semplificano e, come i critici cinematografici, anche quelli letterari devono subire l’onta dei tempi, e abbandonare lo studio dei tropi, le analisi saussuriane del significante e del significato, lo strutturalismo, la grammatica trasformazionale alla Chomsky”.
Anche Pangea.it, in un articolo a firma di Paolo Ferrucci, lancia l’allarme titolando il caso Gamberale “Populismo promozionale: la nuova ipocrisia”. Nell’articolo che si può leggere qui il caso viene messo sullo stesso piano (dell’ipocrisia) delfenomeno del fair play tra gli autori, cui è stato dato anche un nome e un acronimo, IAIC, l’Incensamento Autoriale Incrociato e Circolare, mentre in un altro articolo sempre a firma di Ferrucci, il corrierone viene definito l’happy hour della letteratura dove tutti si amano che è una bellezza.
In ogni caso, sia Alessandro Trocino che Paolo Ferrucci alzano l’indice su un altro aspetto: Feltrinelli, se proprio doveva riportare le recensioni dei lettori sui social, allora doveva riportare anche le recensioni negative (che i due giornalisti hanno facilmente rinvenuto sui social e riportato nei loro articoli). Viene però da dire che non si sono mai lette fascette o commenti o strilli negativi di autori o recensori ufficiali nella pubblicità di un libro. Quindi, perché pretenderlo da Feltrinelli per la pubblicità fatta con i commenti dei lettori?
Insomma, la sensazione generale è che tutti si lamentano che non ci sono più recensioni e critiche negative, nessuno di quelli che si lamentano fa critiche negative, tranne che a Chiara Gamberale, di cui nessuno ha paura di scrivere “deludente, come sempre”.
Quello che viene da chiedersi è perché. Perché tanto livore contro i commenti dei lettori, e perché non si vogliono fare dei distinguo. La rabbia ci sta accecando? Perché la questione dell’ipocrisia è centrale, ma forse non c’entra molto con l’iniziativa di Feltrinelli, che non pretende di essere altro da quella che è: un a pubblicità fatta con la voce dei lettori.
È ipocrita, e dannoso, quando un soggetto millanta di esser quello che non è, quando dichiara il falso e utilizza in modo strumentale la sua posizione di influenza. Questo è quello che accade nella grande partita tra autori, tra autori e editori, e giornalisti, blogger, e recensori e chi ne ha più ne metta (e sì, siamo tanti, siamo in democrazia e i social si prendono i nostri dati in cambio della possibilità di farci scrivere le cose che vogliamo in una piattaforma-palcoscenico pubblica). Un fair play che una volta entrati nel giro invischia tutti, a meno che, appunto, non si decide di rinunciare ai benefici del giro.
Ma se invece un lettore viene presentato in quanto tale? Se la sua opinione viene riportata così come è? Giuseppe – facebook. Qual è l’ipocrisia? Chi e cosa viene danneggiato, se non l’orgoglio di chi vuole proteggere i confini della propria posizione di intellettuale, temendo la discesa anche qui dei barbari e ogni forma di contaminazione? (forse fa al caso la frase: ho paura del Berlusconi che c’è in me?)
Insomma, è facile prendere le misure di (e volendo da) quei commenti: sono semplici commenti di lettori, riportati in quanto tali, trasparenti, non pretendono di essere altro, non mentono. Più difficile è prendere invece le misure da commenti fatti da altri autori, o recensori ufficiali, che scrivono “è il libro che avrei voluto scrivere io” oppure “un capolavoro assoluto di cui si parlerà tantissimo”.
Nell’articolo di Alessandro Trocino viene criticata non solo la scelta della fonte dei commenti (lettori sui social) ma anche dei contenuti (chiacchiere da bar). Qui sotto si possono vedere invece i commenti degli autori e recensori ufficiali al libro di Veronesi che ha vinto lo Strega nel 2020: troviamo le differenze?
Tra l’altro, diversi studi hanno confermato che gli utenti dei social si fidano più dei commenti dei propri amici, dei propri “pari”, quando devono fare degli acquisti,e meno dei consigli dei brand (l’editore in questo caso) e degli esperti (a volte scatta diffidenza, altre volte non interessa, a volte la disintermediazione piace e basta). Certo, ci sono rischi oltre che svantaggi (vedi no vax) ma come sopra: siamo tanti, siamo in democrazia e i social prendono i nostri dati in cambio della possibilità di farci scrivere le cose che vogliamo in una piattaforma-palcoscenico pubblica. E’ quello che tutti vogliamo: dire la nostra sperando di piacere.
Ma a detta di alcuni il problema sembra essere invece l’opposto, cioè chi dovrebbe essere dentro a questo palcoscenico digitale ne è scientemente rimasto fuori. Se Trocino dice che gli intellettuali sono stati sterminati dal fenomeno della rete (l’onda dei tempi), Martina Testa su Twitter commenta un altro fenomeno (ora vediamo quale) dicendo l’esatto opposto: gli intellettuali hanno fatto male a rimanere a guardare mentre gli spazi digitali venivano occupati da altri.
Il fenomeno che commenta Martina Testa su Twitter è un’idea imprenditoriale che ha fatto dell’ipocrisia un modello di business: si chiama Explosive Prima Reviewe offre in promozione a 99 euro un pacchetto di 25 recensioni positive (solo positive) ai tuoi libri su Amazon. Si legge sul sito che le recensioni sono garantite positive, fornite da autentici lettori (non robot, no bot). Roba da fa rabbrividire anche il mondo degli influencers, che già da alcuni anni hanno regolamentato le loro attività (post) a pagamento mettendo degli hashtag di trasparenza, come #spon #AD, #ADV, #Advertising, #Sponsorizzatonei contenuti pubblicati a fronte di un ingaggio economico.
Quello che rimane, tornata la bassa marea, è la domanda fatta prima: la rabbia ci sta facendo diventare ciechi? Perdere il senso critico? (dopo aver perso la critica letteraria?) Insomma non è facile su nessun fronte: per chi scrive, per chi pubblica, per chi promuove, per chi edita, per chi rinuncia, per chi tenta e ritenta.
Forse scrollarsi di dosso il fardello del puritanesimo potrebbe aiutare a riappacificarci almeno un po’.
Negli ultimi anni ho iniziato a frequentare il settore dell’editoria, e una delle cose che ho scoperto è che anche qui, come in altri settori, le relazioni” contano. Questo dato però va guardato onestamente, nella sua interezza e non con uno sguardo retorico moraleggiante (da cui tra l’altro proprio la letteratura si dice debba tenersi ben lontana). Dentro la logica “se diventiamo amici poi ci aiutiamo a vicenda” (e al via feste, recensioni, ospitate, interviste, post tipo “questo libro lo avrei voluto scrivere io”, pranzi e cene e vacanze insieme) c’è il germe dell’agire mafioso, ricattatorio, ipocrita (qui calza bene il titolo di Pangea). Ma invece la logica del siamo tanti, il settore è affollato, non riesco a farmi sentire o vedere con il megafono, allora provo ad andare a bussare alle porte, presentarmi, allacciare delle relazioni, non è un ragionamento da agendina alla Luigi Bisignani, non è il mercato delle influenze, è uno strumento indispensabile.
C’è un problema oggettivo di affollamento e la necessità di trovare un modo per muoversi lì in mezzo, di arrivare alle persone con cui vogliamo parlare.
E non è un caso che i ruoli degli intermediari stanno sempre più prendendo piede, e non è un caso che l’attività di ufficio stampa e comunicazione è sempre più importante quanto complicata: tantissimi libri (solo le novità ammontano a più di 70mila nel 2020), tante case editrici, tantissimi aspiranti autori, pochi spazi media, molti spazi social. La questione è l’efficacia, che non è una parolaccia: chi scrive e chi pubblica un libro vuole anche venderlo. Quale autore non chiede i dati di vendita al proprio editore?
In fondo, se si facesse un manifesto, per stabilire che gli autori non possono recensire altri autori, chi rimarrebbe? Ecco, i giornalisti e i lettori. Ma poi, tra i lettori probabilmente comparirebbero falsi utenti (il traffico in rete è costituito al 65 per cento da bot, ricordiamocelo), e le recensioni dei giornalisti non risolverebbero di certo il tema del fair play.
In ogni caso Feltrinelli ha fatto dei distinguo, ha risposto alla questione, come si legge su giornalettismo.com:
Ecco, se ci si levasse di dosso un po’ di snobismo, potrebbe esserci spazio per tutti, come lo si usa poi il proprio spazio è tutta un’altra storia…